05 Ago Nell’occhio del ciclone: i principali rischi per i manager
Quali sono le modalità con cui i manager si stanno concentrando su resilienza, efficienza e sostenibilità delle supply chain all’interno di un quadro globale dominato dall’incertezza, causata dalle tensioni geopolitiche, dalla crisi climatica, dagli strascichi della pandemia e dalle minacce derivate dagli attacchi informatici? A dar risposte a questa articolata domanda ci ha pensato una delle principali organizzazioni internazionali di revisione e di consulenza aziendale, che ha pubblicato i dati relativi all’indagine Global Risk Landscape 2022, svolta su un campione di 500 C-level in tutto il mondo.
LA GUERRA, IL RISCHIO PIU’ PERICOLOSO (MA NON L’UNICO)
Il 78% dei manager ritiene che le attuali tensioni geopolitiche, derivanti dal conflitto in corso in Ucraina e dalla prospettiva di una guerra commerciale tra Usa e Cina, che porterebbe ad un ulteriore peggioramento del quadro internazionale, costituiscono la principale fonte di rischio per le aziende. Mentre solo il 22% del management considera i cambiamenti climatici come uno dei principali fattori di rischio.
In cima alle preoccupazioni dei manager si colloca il complesso scenario geopolitico, al cospetto del quale il 55% del campione coinvolto nell’indagine ha stretto accordi con nuovi fornitori per cercare di mitigare gli effetti della guerra in Ucraina.
La seconda maggior fonte di rischio è rappresentata dalla trasparenza delle catene di approvvigionamento, come dichiarato dal 75% dei top manager intervistati. La mancanza di trasparenza provoca, infatti, un crescente rischio reputazionale per l’azienda che si dimostra di non essere in grado di raggiungere gli alti standard etici ormai richiesti dai consumatori; e una maggiore difficoltà di comprendere e affrontare le sfide a livello regionale e locale.
Il terzo maggiore rischio individuato dall’indagine risiede nella minaccia degli attacchi informatici alle filiere, indicato dal 72% dei rispondenti. Per prevenire e affrontare tale potenziale fonte di criticità, il 67% delle aziende intervistate ha dichiarato di avere effettuato investimenti nella digitalizzazione della catena di approvvigionamento negli ultimi 18 mesi e il 51% ha aumentato le risorse disponibili a seguito dello scoppio del conflitto in Ucraina. In coda, solamente il 22% del campione ha, invece, indicato i cambiamenti climatici e gli eventi meteorologici estremi fra le più alte priorità di rischi per il business, evidenziando un basso livello di priorità da parte di manager e organizzazioni per tali aspetti, in grado, però, di poter generare danni a livello finanziario e reputazionale. In tale ambito, solo il 23% degli intervistati ritiene che gli eventi naturali avversi potranno avere un impatto significativo sulle attività aziendali e il 14% ha definito piani e processi per mitigare le possibili interruzioni alle supply chain causate dai cambiamenti climatici.
L’AMBIENTE: UN RISCHIO DA NON SOTTOVALUTARE
Manager europei più attenti all’ambiente. L’analisi dei dati relativi ai 100 top manager europei coinvolti nella ricerca conferma che per il 68% di essi il maggiore fattore di rischio per le organizzazioni viene individuato nel conflitto in Ucraina che ha portato un significativo aumento dei costi delle materie prime e delle fonti energetiche e una crescita dell’inflazione, oltre a difficoltà nell’approvvigionamento di semilavorati. In seconda posizione, con una quota del 60%, si collocano i timori di un rallentamento dell’economia e di un recupero più lento del previsto dopo l’impatto della pandemia che non viene più percepito come principale elemento di rischio in Europa grazie anche all’alto tasso di vaccinazione nel continente. L’indagine mostra che i manager europei hanno una sensibilità verso le questioni ambientali e il cambiamento climatico di gran lunga superiore rispetto alla media globale.
Infatti i rischi derivati da eventi naturali imprevedibili e estremi sono stati indicati come estremamente pericolosi dal 59% del campione, rispetto al 22% del dato globale. A parere degli analisti, tale risultato deriva dall’Eu Green Deal che sta introducendo i fattori di rischio Esg nel risk management degli operatori dei mercati finanziari con il preciso scopo di impattare nella sostenibilità dell’economia reale, attraverso la leva della finanza sostenibile. Gli intervistati europei non sembrano, invece, essere particolarmente preoccupati dalle minacce di attacchi informatici, solo il 42% ha dichiarato di avere aumentato gli investimenti in cybersecurity per mitigare i rischi di interruzione della catena di approvvigionamento in seguito al conflitto in Ucraina, rispetto al dato globale del 51%, e solo il 13% li ritiene il rischio principale per le organizzazioni.
ANCHE IL PNRR PREOCCUPA…
Le aziende italiane, che ancora non hanno del tutto recuperato dalle conseguenze della pandemia, si trovano ad affrontare un periodo critico in cui va definita una strategia innovativa per competere all’interno di uno specifico ambito di mercato e l’adattamento del modello di business al nuovo contesto rappresenta una priorità per 6 CFO italiani su 10. In tale contesto, 9 direttori su 10 considerano i fondi del Pnrr centrali per il rilancio della propria azienda in qualità di abilitatori di molteplici iniziative innovative a supporto della trasformazione digitale (42%), dell’adozione di un paradigma “green” (33%) e di un miglioramento dei livelli di efficienza interni (25%). Secondo i risultati dello studio, il 56% dei direttori finanziari manifesta interesse verso le agevolazioni previste dal Pnrr e di questi 1 su 4 dichiara di avere già avviato le procedure necessarie specialmente per l’accesso agli incentivi fiscali a supporto degli investimenti ad alto contenuto tecnologico (43%) e a quelli riconducibili al Piano Transizione 4.0 (38%). Oggi solo un’azienda su quattro non ha ancora definito un modello di governance per gestire l’accesso alle opportunità del Pnrr, il 27%, invece, ha già istituito una task-force interna multidisciplinare e oltre il 90% ritiene necessario avvalersi del supporto di terze parti specializzate per gestire il processo di richiesta fondi. Società di consulenza (42%), studi professionali (25%) e associazioni di categoria (17%) emergono come gli interlocutori privilegiati da parte del panel intervistato.
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